100 anni di ciclismo - Luoghi e impianti da non dimenticare
Storia & Storie
Prima che ai Velodromi il ciclismo italiano lega la sua tradizione ai luoghi e agli eventi: le strade, i percorsi, le grandi salite, hanno segnato la storia del Giro d’Italia e delle Grandi Classiche, contribuendo alla costruzione dell’epopea storica ed eroica, di cui vogliamo mantenere vivo il ricordo. Per questa ragione percorreremo questi anni nel ricordo e nella valenza degli impianti, ma anche dei percorsi epici, considerandoli anch’essi luoghi simbolo, icone indissolubili a cui si legano le nostre radici.
Il 1914 è l’anno in cui nasce il CONI, ma il ciclismo celebra anche un Giro d’Italia passato alla storia come il più duro di tutti, fu ideologicamente la rivendicazione alla primigenia dello sport più sofferto e drammatico. Carlo Facchinetti racconta nel suo libro “Giro del 1914 – il più duro di tutti” la drammaticità che quel ciclismo epico rappresentava. Si partì di notte da Milano verso il Sestriere, ad attenderli più o meno 17 ore di sella e un temporale che accompagnerà la corsa per tutto il tempo, su quella salita dal fondo sterrato passò per primo Angelo Gremo a piedi, stessa sorte toccò a tutto il gruppo: con le mani poggiate sul manubrio arrancarono tutti a piedi, spesso scivolando nel fango. Solo in 37 giunsero al traguardo nel tempo massimo; tra le vittime Petit Breton, il favorito della vigilia. Angelo Gremo vinse quella tappa tremenda presentandosi solitario a Cuneo dopo 17 ore e 15 minuti.
Quel Giro, oltre a registrare tutta una serie di record, è caratterizzato anche per la tappa più lunga di sempre che partì da Lucca il 28 luglio poco dopo la mezzanotte e arrivò a Roma attraverso un percorso lungo 420 km. dopo 17 ore e 30 minuti; il traguardo posto a Tor di Quinto vide sfrecciare per primo Costante Girardengo.
Il Sestriere lo troviamo nuovamente protagonista nella famosa 17^ tappa da Cuneo a Pinerolo del Giro d’Italia del ’49, dove Fausto Coppi conquistò la maglia rosa dopo una leggendaria fuga nella quale scalò da solo il Colle della Maddalena, il Col de Vars, il Col l'Izoard, il Monginevro e infine il Sestriere, giungendo a Pinerolo con 11'52" su Gino Bartali, suo tenace antagonista di quegli anni, e quasi venti su Alfredo Martini.
Il nome di Fausto Coppi si lega al passo dello Stelvio nel 1953, inserito per la prima volta nel tracciato del Giro d'Italia, in quella circostanza fu teatro di una delle sue ultime grandi imprese quando, nella tappa Bolzano - Bormio, staccò il leader della classifica, lo svizzero Hugo Koblet, involandosi alla conquista della tappa e della classifica finale di quel Giro. Lo Stelvio fu grande protagonista nel 1975, quando fu teatro dell’appassionante duello tra il nostro Fausto Bertoglio in maglia rosa e Francisco Galdòs secondo in classifica; il traguardo vide vincitore Galdòs che tagliò il traguardo a capo chino seguito da un’esultante Bertoglio a braccia levate: quel “passo” aveva consacrato la sua maglia rosa.
Se dovessimo indicare la salita che ha conferito ai percorsi del Giro d’Italia il più alto grado di drammaticità diremmo Le tre Cime di Lavaredo, soprattutto per le condizioni atmosferiche quasi sempre estreme, nelle quali i girini si sono trovati a confrontarsi. Il Rifugio Auronzo, culmine della montagna, è stato più volte sede di arrivo; il tratto finale, il più impegnativo, sale da Misurina (1760 m) al rifugio (2.333 m) in circa 7 km. con punte di dislivello fino al 19% ed è spessissimo battuto da pioggia e neve. La prima volta fu nel 1967 quando vinse Felice Gimondi davanti a Eddy Merckx e Gianni Motta, ma la tappa venne annullata per irregolarità (spinte): la bufera aveva reso la scalata quasi impossibile e i tifosi non poterono resistere al naturale istinto di aiutare i ciclisti nella difficile arrampicata. Si replicò l'anno successivo con una tappa memorabile nuovamente sotto la neve, vinse Eddy Merckx che indossò la maglia rosa per portarla sino a Milano. Il 1974 Le Tre Cime di Lavaredo furono testimoni del duello tra la speranza italiana Giovanbattista Baronchelli e Eddy Merckx; nonostante una maiuscola prestazione del giovane neoprofessionista, rimasero al campione belga 12 secondi sufficienti per la vittoria finale di quel Giro; quella tappa fu vinta dallo spagnolo Josè Manuel Fuente. La 20^ tappa del Giro d'Italia 2013 celebrò sulle Tre Cime di Lavaredo la consacrazione di un campione vero: Vincenzo Nibali in maglia rosa conquistò quella montagna, un treaguardo che risulterà foriero degli ulteriori e importanti successi di cui "lo squalo dello stretto" saprà fregiarsi.
Il rifacimento delle strade consente nell’ultimo decennio del secolo passato, di volgere lo sguardo a grandi salite dalle pendenze impossibili; è così che nel 1990 il Mortirolo è stato inserito nel percorso del Giro d'Italia e da allora ha contribuito alla continuità della leggenda del ciclismo; non possiamo dimenticare la fuga solitaria dell'allora emergente Marco Pantani nel Giro del 1994, quando staccò campioni come Miguel Indurain, Evgenij Berzin e Claudio Chiappucci. Nel mese di maggio 2006 è stata posta al km 8 una scultura dedicata al compianto campione romagnolo realizzata da Alberto Pasqual, l’opera lo raffigura nella sua classica andatura in salita, con le mani basse sul manubrio alzato sui pedali rivolto in dietro a controllare gli avversari. Sempre nel 2006 il Mortirolo vede passare per primo Ivan Basso con a ruota Gilberto Simoni; sarà di buon auspicio perché Basso vincerà quel Giro; stessa cosa si ripeterà nel 2010 con la differenza che a ruota di Basso questa volta passò il compagno di squadra Vincenzo Nibali.
Altra salita dalle grandi pendenze è il Monte Zoncolan che irrompe da protagonista nel mondo del ciclismo in occasione del Giro d’Italia Femminile del 1997, quando vide la scalata vittoriosa di Fabiana Luperini. Il Giro d'Italia dei professionisti ha raggiunto lo Zoncolan per la prima volta nell'edizione del 2003; allora fu affrontato il versante di Sutrio, era la dodicesima tappa di quel Giro e fu vinta da Gilberto Simoni di cui riportiamo una dichiarazione:
[…] il tratto più facile dello Zoncolan è pari ai tratti più difficili delle salite del Tour de France […].
Il versante di Ovaro fu scoperto e segnalato agli organizzatori del Giro da Francesco Guidolin, grande appassionato di ciclismo, che scoprì la salita nel 1998 durante i ritiri dell'Udinese calcio in Carnia, fu inserito per la prima volta il 30 maggio 2007 quando nuovamente Gilberto Simoni vinse quella diciassettesima tappa partita da Lienz, in Austria, dopo un’epica cavalcata affiancato dal compagno di squadra Leonardo Piepoli. Questo Monte è soprannominato Il Kaiser o La salita di Simoni per le sue vittorie in occasione delle prime due ascese al Giri d’Italia.
Anche le Grandi Classiche hanno costruito la loro storia su percorsi memorabili; come non ricordare la valenza che ha avuto la salita del Poggio, ma anche la discesa, a ridosso dell’arrivo sul lungomare di Sanremo nella Classicissima di Primavera, la Milano-Sanremo; o la salita di Superga nella più antica delle classiche, la Milano-Torino. La classica delle foglie morte ovvero il Giro di Lombardia, pur svolgendosi su un percorso che è cambiato molte volte nel corso degli anni, ha costruito la sua storia su una salita simbolo che porta alla chiesetta della Madonna del Ghisallo, protettrice dei ciclisti; punti di arrivo tradizionali sono stati Milano, Monza, Como, Lecco e Bergamo, spesso passando per la salita di San Fermo della Battaglia dove a volte si è deciso il risultato finale.
Pressoché contemporaneamente alla divulgazione dell’attività su strada di livello internazionale, il ciclismo vede l’alba della sua impiantistica; concepita attraverso una visione polivalente che detta spazi e materiali, apparentemente unica soluzione alle previste difficoltà economiche di gestione, i Velodromi erano progettati come contenitori di campi di calcio e piste utili anche al motociclismo, di conseguenza la lunghezza sarà più o meno di 400 metri, con curve sopraelevate e il fondo in listelli di legno o in cemento; è questo il caso del Motovelodromo Appio, noto anche come "Cessati Spiriti", costruito a Roma nel 1910 nel quartiere Tuscolano, adatto ad ospitare gare di ciclismo, motociclismo e motocalcio. Rimase attivo fino alla fine degli anni cinquanta e celebrò la nascita dell’A.S.Roma Calcio che vi esordì nel 1927, fu rimpiazzato dal Velodromo Olimpico in occasione dei Giochi di Roma del 1960.
Il bando del CONI per la costruzione del Velodromo Olimpico vide la partecipazione di 30 progetti tra i quali, al termine della selezione, risultò vincitore quello di Cesare Ligini, Dagoberto Ortensi e Silvano Ricci. Capace di più di 17.660 posti a sedere, l’unico vincolo nel bando era la natura della pista in legno e un’entrata per i ciclisti dalla strada adiacente, che consentisse l’arrivo dentro il Velodromo a conclusione di gare su strada. Rimase ufficialmente inutilizzato dal 1968, dopo che vi furono organizzati i Campionati del Mondo; in realtà il ciclismo locale ne ha usufruito attraverso l’assunzione di responsabilità dei Presidenti Regionali della F.C.I. fino al 1992. Dal 1993 ha inizio l’abbandono e il conseguente degrado: il suo abbattimento è datato 2012.
Le vicende del Velodromo Olimpico si rispecchiano più o meno nella storia del Velodromo Vigorelli di Milano, che fu inaugurato il 28 ottobre del 1935 in seguito alla demolizione dell'antiquato Velodromo Sempione (a sua volta costruito all'inizio del secolo, anch’esso sede di una squadra di calcio: il Milan). Fu realizzato con la sponsorizzazione della Gazzetta dello sport e la volontà di Giuseppe Vigorelli, industriale, ex pistards, a quel tempo assessore allo sport del Comune di Milano; la pista lunga 397,7 metri, larga 7,50, con una pendenza massima in curva di 42 gradi, è ricoperta nel manto ciclabile con 72 chilometri di listarelle di pino svedese. Scelto come sede di arrivo anche di corse su strada come il Giro d'Italia, il Giro di Lombardia e il trofeo Baracchi. Nel 1939 ospitò il campionato mondiale. Il 7 novembre 1942 consegnò alla storia il primato mondiale dell'ora di Fausto Coppi: 45,798 km. La pista fu distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale (1943) e ricostruita nel 1946. All'inaugurazione il velodromo venne intitolato al ciclista meneghino Romolo Buni. Con la ripresa post bellica negli anni 1951, 1955 e 1962 vi si svolsero nuovamente i campionati mondiali di ciclismo su pista. Alla scomparsa del campione Antonio Maspes (19 ottobre 2000) l'Amministrazione Comunale decise di dedicargli il Velodromo che da allora si chiama Velodromo Maspes-Vigorelli; è stato utilizzato per il ciclismo fino al 2001, quando si svolsero i Campionati nazionali assoluti.
Oggi il regolamento internazionale delimitando la lunghezza delle piste a 250 metri con impianto coperto per olimpiadi e mondiali, di fatto estromette ogni possibilità di contenimento di un campo di calcio, favorendo così un’impiantistica dedicata principalmente al ciclismo. Da queste premesse, l’8 giugno 2009 viene inaugurato il Velodromo di Montichiari progettato dall’ingegner Eliseo Papa; una pista con listelli di pino siberiano lunga 250 metri ed una pendenza massima nelle curve del 43 %; tecnica e veloce. A colpire maggiormente è comunque la copertura a forma di caschetto, realizzata con 6.506 pezzi d’acciaio, tenuti insieme da 1.506 nodi poliedrici, un vero spettacolo estetico.
Dai primi anni ’90 l’avvento della Mountainbike, poi consacrata alle olimpiadi di Atlanta ’96, ha offerto al ciclismo un’alternativa alle difficoltà della strada e alle difficoltà di gestione dei Velodromi, rivitalizzando l’interpretazione del mezzo meccanico ora portatore di soluzioni tecniche moderne ingenerando nuove appell sui giovani. I circuiti permanenti fuoristrada da allora fioriti, offrono aspetti di sicurezza non trascurabili per l’assenza del traffico automobilistico e sono utilizzabili anche per il cicloturismo: il Montello, la Valdobbiadene, i Percorsi del Prosecco, la Grande Guerra, le Alpi, le Dolomiti, l’Etna ecc., ripercorrono la nostra storia e ne evidenziano le eccellenze. A questi vanno aggiunti tratti ciclabili che recuperano ferrovie dismesse e antichi percorsi come la via Francigena, contribuendo così allo sviluppo della bikenomics i cui trend statistici evidenziano un’incidenza molto favorevole sull’economia, la riduzione dell’inquinamento ambientale e le spese sanitarie.
Si apre di fatto un dibattito tecnico sull’opportunità di favorire il mountainbike, a cui si aggiungono con il tempo i risultati di atleti provenienti da questa specialità, che trovano spazio nel professionismo e si affermano nelle grandi competizioni internazionali su strada. Da allora il mondo del ciclismo comincia a ragionare seriamente sulla valenza della multidisciplinarità, idea definitivamente consacrata e accettata universalmente come valida nel momento in cui anche atleti provenienti dalla pista offrono gli stessi importanti risultati su strada.
Tutto questo ci ha indotto a ragionamenti pragmatici; nonostante questi ultimi anni siano stati segnati da una profonda crisi dell’economia e dell’impiantistica, abbiamo voluto intraprendere un percorso partendo da ciò che realmente abbiamo e cosa il futuro ci può offrire. Allo stato attuale sul territorio nazionale l’attività ciclistica può contare su una rete di velodromi (38 di cui 6 in progettazione), piste BMX (16) di cui una olimpica a Verona, piste downhill (15), piste trial (5), piste fuoristrada (4), piste ciclocross (5), bike park ovvero impianti multidisciplinari dedicati al ciclismo MTB – BMX – CICLOCROSS – CICLODROMI (4 in progettazione), piste ciclabili (55) e ciclodromi (60) impianti questi non specializzati, di facile realizzazione, utilissimi all’ attività di promozione rivolta particolarmente ai giovanissimi (7-12 anni) e in grado di dare risposte alle esigenze di sicurezza. Tutto questo costituisce un’ossatura portante e in crescita sulla quale poter contare, alla quale possiamo affiancare le 125 Scuole di MTB, le 65 Scuole di Ciclismo, i 22 Centri Territoriali su Pista; questo potenziale ci consente di porre in essere un progetto già condiviso territorialmente e sul quale contiamo di investire parte delle nostre risorse; nei nostri auspici si apre quindi una stagione nuova, dove il ciclismo e la bicicletta occuperanno sempre maggiori spazi e luoghi, con valenze multidisciplinari nel ciclismo agonistico e cicloturistico, favorendo nuovi stili di vita che inducano a guardare la bicicletta come a un’amica inseparabile.