Il fardello di essere stato sempre considerato il “nuovo Coppi” non l’ha mai abbandonato. Ma le spalle di Ercole Baldini hanno retto più che bene: di gloria, nella sua carriera nel ciclismo, ne ha accumulata veramente tanta.
Dal record mondiale dell’ora conquistato nel 1956, percorrendo sulla pista del Vigorelli 44,870 km in 60 minuti, alla vittoria del Giro d’Italia del '58, passando per l’Oro olimpico a Melbourne nella Corsa in linea su Strada. Un trionfo, quello del 1956, che sa di rivincita per le decine di migliaia di connazionali, emigrati in Australia per sfuggire alla miseria post-bellica: “Gli spettatori erano in maggioranza italiani. Dal podio li scorgevo abbracciarsi, rotolarsi, piangere di gioia. Sembrava che ognuno avesse vinto al Totocalcio”.
E poi l’emozione vera, quella che solo il pubblico italiano sa dare: “Alla premiazione ricordo la bandiera tricolore che si alza ma l’Inno di Mameli che non arriva. Chissà. Forse il disco si era rotto o era andato perso. Pochi attimi di silenzioso imbarazzo degli organizzatori e poi, all’improvviso, fu la folla ad intonare il nostro inno nazionale”. Un successo del genere, oltre ad esaltare la folla, conferma una volta di più il valore di Baldini, Ercole di nome e di fatto.
L’impresa arriverà poi ai Campionati del Mondo di Reims, due anni dopo, al suo secondo anno da professionista. A 250 km dal traguardo, Ercole sopraggiunge sui fuggitivi con irruenza: una mossa poco logica, visto che gli azzurri potevano già contare su un brillante Nencini tra i primissimi. “E’ stato Coppi a dirmi di entrare in questa fuga” la spiegazione. E ancora: “Ha insistito. Io gli ho ricordato che c’era già lui. Magari non l’aveva visto partire…".
Perché? Qualcuno crede che il Fausto "nazionale" avesse fiutato l'impresa, e che ne volesse essere a tutti i costi il regista. Altri, più maligni, tutt'oggi pensano che abbia invitato Baldini a quell'attacco per mandarlo allo sbaraglio, temendo che il giovane romagnolo - così tanto, "troppo" vincente - potesse oscurarlo. Il “Treno di Forlì” stacca uno dopo l’altro tutti i suoi compagni d’avventura, giungendo con 2’09” sull’idolo di casa Bobet e 3’47” sull’altro francese Dedè Darrigade, al termine di una fuga dal sapore epico.
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