La Corte Federale d’Appello, 2^ Sezione, composta dai Sig.ri:
Prof. Avv.to Jacopo Tognon – Presidente ed estensore;
Avv.to Miriam Zanoli – Componente effettivo;
Avv.to Rosita Gervasio – Componente supplente;
nella procedura n. 5/2017 promossa con reclamo depositato in data 21 dicembre 2017 dal Signor Ugo Fagiolo, nei confronti della decisione del Tribunale Federale pubblicata sul comunicato n.10 del 18.12.2017,
avverso
la F.C.I., in persona del legale rappresentante.
ritenuto in fatto
L’odierno reclamante ricorreva al Tribunale Federale, Sezione II, in data 28.09.2017, per l’annullamento della delibera n. 210/2017 del Consiglio Federale del 9.08.2017, che disponeva il commissariamento del C.R. Umbria, nonché del comunicato n. 15 del 10.08.2017, con il quale si rendeva nota tale decisione, riservandosi di promuovere successivamente motivi aggiunti al proprio ricorso a causa di una inevasa istanza di accesso agli atti del 15.09.2017.
Nell’unico motivo allora addotto, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 2, lett.h) della Statuto, nonché della legge n.241/1990 e ss.mm. e degli artt. 24 e 113 della Costituzione, ritenendo la delibera n. 210/2017 del Consiglio Federale viziata da un difetto di motivazione ed eccesso di potere per carenza ed errore dei presupposti
La F.C.I., evocata in tal modo nel giudizio di impugnazione, si costituiva con memoria del 16.10.2017, rilevando preliminarmente l’inammissibilità dell’autonoma impugnazione del comunicato n. 15 del 10.08.2017, ritenendolo mera comunicazione e non atto amministrativo.
Nel merito, invece, valutava il ricorso come assolutamente infondato.
Sussistevano infatti tutti i requisiti per procedere al commissariamento del C.R. Umbria: era stata svolta una sufficiente attività istruttoria; vi erano molteplici cause manifestanti il malfunzionamento del Comitato stesso e, infine, vi era una chiara indicazione delle norme statutarie violate nella delibera de qua.
Il ricorrente presentava motivi aggiunti al proprio ricorso in data 12.11.2017, contestando la nullità della delibera impugnata per:
- l’inammissibilità delle motivazioni articolate nella memoria della F.C.I., ritenendole integrative di quelle poste alla base della delibera n. 210/2017 del Consiglio Federale del 9.08.2017;
- la violazione degli articoli 18 n. 3 dello Statuto e 14 nn. 5 e 7 del Regolamento organico, ritenendo sussistente un eccesso di potere per difetto dei presupposti inerenti la convocazione della riunione del Consiglio Federale ed il relativo o.d.g.;
- la violazione del combinato disposto degli articoli 16 e 17 dello Statuto Federale, adducendo l’assenza di un verbale della riunione del Consiglio Federale del 9.08.2017;
- la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 2, lett. j) dello Statuto, nonché della l. 241/1990 ss.mm., richiamando il vizio di difetto di motivazione ed eccesso di potere per carenza ed errore dei presupposti, risultando mancanti i presupposti giuridici alla base della delibera determinante il commissariamento, nonché le situazioni di fatto (dati statistici relativi all’attività ciclistica del C.R. Umbria e denunzie di affiliati quanto all’attività del Comitato stesso). Contestava su tale punto anche la validità della produzione fotografica come prova documentale ex articoli 214 e ss. c.p.c. e 2712 c.c., sostenendo pertanto l’assoluta inconsistenza del materiale probatorio a carico.
In via istruttoria, infine, richiedeva l’ammissione all’audizione dei rappresentanti legali pro-tempore di più di 80 società ciclistiche umbre.
La F.C.I., in ordine ai motivi aggiunti, replicava con memoria del 27.11.2017, deducendo che:
- aveva pieno diritto di argomentare nel modo più consono le ragioni legittimanti l’adozione del provvedimento, ritenendo inammissibile quanto dichiarato in via preliminare da parte ricorrente;
- la violazione degli articoli 18 n.3 dello Statuto e 14 n.5 e 7 del Regolamento organico fosse infondata in quanto la delibera oggetto del contendere sarebbe stata tutt’al più annullabile, su impugnazione dell’unico soggetto assente alla riunione (il quale non solo non avrebbe impugnato ma anche, alla successiva riunione del Consiglio Federale, avrebbe approvato il verbale del 9.08.2017);
- la violazione del combinato disposto degli articoli 16 e 17 dello Statuto Federale fosse parimenti infondata, non potendosi assimilare il regolamento delle riunioni del Consiglio Federale alla normativa societaria, non essendo la F.C.I. una società di capitali;
- la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 2, lett.j) della Statuto, nonché della l.241/1990 e ss.mm., ritenendo sussistente il vizio di difetto di motivazione ed eccesso di potere per carenza ed errore dei presupposti, fosse totalmente insussistente.
Riportandosi a quanto già dedotto con memoria di costituzione del 16.10.2017, ribadiva l’ampia indagine documentale precedente la delibera n.210/2017, dalla quale risultavano tutti i comportamenti, dell’allora Presidente e l’inerzia del Consiglio direttivo, causa del commissariamento.
Il Tribunale Federale, Sezione II, si pronunciava con decisione pubblicata nel comunicato n. 10 del 18.12.2017, in via preliminare, statuendo che l’impugnativa autonoma del ricorrente al comunicato n. 15 del 10.08.2017 risultava inammissibile, non essendo l’atto assoggettabile ad impugnazione.
Relativamente al merito della questione, invece, rilevata una premessa sulla differenza e non conciliabilità tra il processo sportivo e le regole sostanziali e procedimentali del diritto amministrativo, respingeva il ricorso deliberando che:
- le motivazioni articolate dalla F.C.I. nella propria memoria difensiva rientrano nell’ambito dell’esercizio del diritto di difesa;
- le censure mosse dal ricorrente relativamente allo svolgimento del Consiglio Federale, andavano tutt’al più impugnate dall’unico soggetto assente alla riunione e, solo eventualmente su tale base, annullate le decisioni prese in tale sede, ex art.39, comma 2 del Regolamento di Giustizia;
- al difetto di motivazione, all’eccesso di potere, alla carenza e all’errore dei presupposti per il commissariamento non poteva essere mossa alcuna censura, come diversamente sostenuto dal ricorrente, in quanto lo scioglimento interveniva a seguito del riscontro di circostanze obiettive, ben documentate dagli atti di causa.
Con reclamo del 21.12.2017, il Sig. Fagiolo, ut supra rappresentato e difeso, chiedeva la riforma della decisione n.10 del Tribunale Federale, Sezione II, comunicata il 18.12.2017.
Conseguentemente, domandava l’annullamento della delibera n. 210/2017 del Consiglio Federale del 9.08.2017, con la quale si disponeva il commissariamento del C.R. Umbria, nonché del comunicato n. 15 del 10.08.2017, con il quale si rendeva nota tale decisione.
Tutti i motivi di doglianza venivano reiterati dal reclamante nel suo scritto difensivo, rispetto a quanto già esposto con il ricorso di primo grado ed annessi motivi aggiunti.
Con il primo motivo, il reclamante lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 2, lett. j) della Statuto, nonché della l. 241/1990 e ss.mm., ritenendo viziata la delibera n.210/2017 da un difetto di motivazione ed eccesso di potere per carenza ed errore dei presupposti.
Argomentando, reputava illegittima la delibera de qua per carenza dei presupposti sia giuridici che di fatto, tali da rendere assolutamente inconsistente il materiale probatorio a sostegno del disposto commissariamento.
Con il secondo motivo, rappresentava nuovamente l’inammissibilità delle motivazioni articolate nella memoria della F.C.I., in quanto integrative della motivazione della delibera n.210/2017.
Con il terzo motivo lamentava la violazione degli articoli 18 n.3 dello Statuto e 14 n.5 e 7 del Regolamento organico, ritenendo sussistente un eccesso di potere per difetto dei presupposti inerenti la convocazione della riunione del Consiglio Federale del 9.08.2017 ed il relativo o.d.g..
Con il quarto motivo veniva richiesta la nullità della delibera n. 210/2017 per violazione del combinato disposto degli articoli 16 e 17 dello Statuto Federale, poiché non risultava emergente chi avesse proposto l’o.d.g. della riunione del 9.08.2017, nonché per assenza del verbale della stessa.
Da ultimo, il reclamante insisteva nelle richieste istruttorie già avanzate con i motivi aggiunti ammessi in primo grado, ritenendole essenziali ai fini della decisione.
Si costituiva la F.C.I. con memoria del 4.01.2018, richiedendo, in via preliminare, la cessazione della materia del contendere per l’intervenuta nuova delibera del Consiglio Federale nr. 323 del 21.12.2017 (allegata alla memoria di costituzione) con la quale veniva disposto il commissariamento del C.R. Umbria, “per gravi irregolarità amministrative e di gestione nonché per gravi e ripetute violazioni dell’ordinamento”.
In subordine, nel merito, venivano richiamate tutte le difese, così come esposte nella memoria di costituzione in primo grado del 16.10.2017 e in quella in ordine ai motivi aggiunti del 27.11.2017.
Sentite le parti all’udienza del 12 gennaio 2018 il Collegio, con provvedimento riservato e comunicato in data 29 gennaio 2018, riteneva la causa matura per la decisione e fissava la nuova udienza del 12 febbraio 2018.
In quella sede dava lettura del dispositivo con riserva di motivazione nel termine massimo previsto dall’art. 45 Reg. Giustizia.
Considerato in diritto
a) Le eccezioni preliminari
1) Preliminarmente, il Collegio osserva che non vi sono i presupposti per dichiararsi la cessazione della materia del contendere, come richiesto dalla F.C.I. nella propria memoria di costituzione.
Invero, l'istituto della cessazione della materia del contendere non ha, com'è noto, fondamento testuale, ma è frutto dell'elaborazione giurisprudenziale.
Essa viene dichiarata dal giudice nel caso in cui sopravvenga una situazione che determini l'impossibilità di pervenire alla definizione del giudizio, per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione dello stesso, nonché quando vi sia un accordo tra le parti.
Alla stregua di ciò, è evidente come la nuova delibera del Consiglio Federale nr.323 del 21.12.2017, che dispone il commissariamento del C.R. Umbria, “per gravi irregolarità amministrative e di gestione nonché per gravi e ripetute violazioni dell’ordinamento”, non possa ritenersi satisfattiva dell’interesse azionato in tale sede dall’odierno reclamante.
Pertanto non vi può essere cessazione della materia del contendere.
2) Sempre in via preliminare il Collegio deve peraltro rilevare che il procedimento di primo grado si è svolto in forma piuttosto atipica in relazione alle norme Regolamentari.
Innanzitutto, la Federazione Ciclistica Italiana non avrebbe dovuto nemmeno essere parte di tale procedimento. In effetti non vi è chi non veda che nei giudizi endoassociativi, qual è senz’ombra di dubbio quello oggi portato all’attenzione della Corte Federale d’Appello, la Federazione stessa non è mai parte sostanziale del procedimento poiché le funzioni e le competenze degli Organi di Giustizia (in via amministrativa e interna alla Federazione stessa) comportano lo scrutinio della legittimità degli atti impugnati senza che la FCI possa contraddire sul punto.
In altre parole, spetta per Regolamento di Giustizia e per Statuto al Tribunale Federale (e a questa Corte in sede di gravame) decidere in ordine ad alcune tipologie di impugnazioni (quali ad esempio quella promossa dall’odierno reclamante) senza che vi sia un sostanziale convenuto (ove invece la Federazione potrà, se e del caso, diventare parte del procedimento nel momento in cui la vertenza uscisse dal seminato federale).
Seppure è vero che tale anomalia sia stata determinata dall’avere il sig. Fagiolo evocato in giudizio la FCI in primo grado, non v’è ragione di lasciare che a detto errore venga dato luogo anche nella presente sede.
Ne consegue che l’intervento anche in questo grado della FCI – costituita a ministero di proprio difensore – è inammissibile e come tale deve essere dichiarato in questa decisione.
In secondo luogo non si comprende davvero come – in questo contesto – siano stati autorizzati dei “motivi aggiunti”, cui oltretutto la FCI ha pure replicato.
Anche immaginando una sorta di interpretazione analogica e/o una trasposizione di norme del processo amministrativo, è assai arduo ritenere che questa trasposizione si giustifichi nel caso di specie, essendo – come si è detto – la conseguenza diretta del primo (ed originario) errore: che è quello di avere “accettato” la FCI alla stregua di parte del presente procedimento.
L’accettazione de plano del contraddittorio non sana in ogni caso questo vizio ma nondimeno la questione, per completezza e per la sua intrinseca rilevanza, deve essere affrontata – a prescindere o meno dalla ammissibilità stessa di questi motivi aggiunti – tenendo presente peraltro che in origine (e questo anche per “cercare di intuire” le ragioni dell’atipicità del procedimento) non vi era neppure la delibera stessa (che difatti è stata prodotta per la prima volta con la memoria di costituzione del 19.10.2017 della FCI).
3) Infine ultima (ma non meno importante) questione è quella relativa alla legittimazione ad agire così come prevista dall’art. 39 comma 2 del Regolamento di Giustizia, peraltro incidenter tantum già affrontata dal collegio di prime cure, senza però – forse – prendere le ulteriori determinazioni.
Questo il testo della norma: “Le deliberazioni del Consiglio Federale contrarie alla legge, allo Statuto del CONI e ai principi fondamentali del CONI, allo Statuto e ai regolamenti della Federazione possono essere annullate su ricorso di un componente, assente o dissenziente, del Consiglio Federale, o del Collegio dei Revisori dei Conti”.
La giurisprudenza amministrativa più recente in tal senso ha avuto modo di chiarire che "la mera illegittimità del provvedimento non radica, di per sé, l'interesse a ricorrere; non essendo la giurisdizione amministrativa una giurisdizione di diritto oggettivo, è pur sempre necessario che il ricorrente manifesti e abbia l'interesse a un bene della vita che risulti pregiudicato dall'esercizio del potere amministrativo. L'azione di annullamento, infatti, è subordinata alla sussistenza di tre condizioni: a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo, in rapporto all'esercizio dell'azione amministrativa; b) l'interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell'interesse protetto, a norma dell'art. 100 c.p.c.; c) la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo." (T.A.R. Napoli, (Campania), sez. IV, 05/09/2017, n. 427);
Pertanto, "[…] in uno con la legittimazione ad agire deve sussistere, dunque, anche l'interesse a ricorrere, inteso quale specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall'attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente. In sostanza, sussiste l'interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo colloca in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistono elementi tali per affermare che l'azione si traduce in un abuso della tutela giurisdizionale" (T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 04/04/2017, n. 4212).
Nello specifico e ad avviso di questa Corte, quindi, al ricorrente/reclamante mancherebbe un'espressa legittimazione attiva all'impugnazione della delibera n.210/2017, non risultando prima facie titolare, ex art.39.2, del rapporto controverso dal lato attivo.
Il fatto che in capo al sig. Fagiolo, nella sua qualità di Vicepresidente del Comitato Regionale Umbria, possa ritenersi astrattamente sussistente l'interesse a ricorrere avverso la delibera di commissariamento, (trovandosi sicuramente in una "situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati") non comporta che in concreto sussistano (appunto) tutte e 3 le condizioni.
Sotto questo profilo, ed essendo la questione relativa alla titolarità, attiva o passiva, del rapporto sostanziale dedotto in giudizio una questione di merito della lite, essa si risolve difatti nell'accertamento di una situazione di fatto favorevole all'accoglimento o al rigetto della pretesa azionata.
Ne consegue che il ricorso – alla luce delle deduzioni appena svolte – presenta indubbi elementi di infondatezza nel merito.
b) Nel merito
Fermo quanto sopra comunque, ritiene il Collegio che il reclamo (con i suoi motivi aggiunti ove ammissibili) non appaia comunque fondato e meritevole di accoglimento neppure sotto il profilo dei vari motivi svolti.
Per quanto attiene al primo motivo, appare manifesto che la delibera non possa ritenersi priva di presupposti giuridici e di fatto, così come diversamente sostenuto dal reclamante e, pertanto, nemmeno che risulti viziata da un difetto di motivazione e da eccesso di potere.
Seguendo quella che è la teoria sostanzialista, infatti, non può che condividersi l’impostazione che, andando oltre la previsione di cui all'art. 3, comma 3, l. n. 241/1990, reputa l'obbligo di motivazione non violato quando, anche a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano essere ricostruiti le concrete ragioni e l'iter motivazionale della determinazione assunta.
Ed esattamente così è accaduto nel caso specifico di cui è causa, in quanto, sin dalla fase infraprocedimentale, risultano assolutamente percepibili le ragioni sottese all'emissione del provvedimento gravato: la necessità di commissariare un Organo che non operava più garantendo, ex. art. 24, comma 7 dello Statuto, “i piani di attività e le iniziative dirette ad ampliare l'attività ciclistica regionale”, ma che addirittura assecondava le volontà di un soggetto inibito, che continuava a frequentare detto ambiente.
Appare al Collegio, proprio per tal motivo, null’altro se non un mero esercizio linguistico e di stile la contestazione fatta dalla difesa del reclamante in riferimento all’utilizzo dei termini di “malfunzionamento” o “irregolarità nel funzionamento” contenuti nella delibera de qua, in luogo di quello previsto, ai sensi dell’art. 16 comma 2 lett.) J dello Statuto Federale, dell’impossibilità di funzionamento.
Fermo restando che è la stessa parte ricorrente a pag. 3 del proprio ricorso introduttivo a ritenere che debbano sussistere ai fini del commissariamento “gravi ed acclarate ragioni di mal funzionamento” del Comitato (fattispecie che sembra diversa da quella dell’impossibilità).
Si ritiene, invero, che il “malfunzionamento”, individuato in casi tassativi e specifici ed inteso come “situazione patologica dal carattere non temporaneo né superabile”, altro non sia che un diverso modo per affermare proprio quell’impossibilità di funzionamento di un organismo (nello specifico, del Comitato Regionale Umbria), causa del commissariamento de quo.
Successivamente a questo, infatti, il Consiglio Federale ha emanato un’ulteriore delibera, la n. 323/2017, che non solo ha confermato le ragioni giustificative del primo commissariamento, ma che ha anche riscontrato “ulteriori gravi irregolarità amministrative e di gestione nonché di gravi e ripetute violazioni dell’ordinamento” “con proroga per quanto di ragione degli effetti del provvedimento già adottato con la delibera n.210/2017”.
Vale la pena, a questo punto, rammentare anche la considerazione per la quale la motivazione è ritenuta un “discorso giustificativo” del provvedimento, rispetto alla quale deve valutarsi altresì l'uditorio al quale esso si rivolge.
E non si può certo dire che la delibera del Consiglio Federale n. 210/2017 non fosse diretta ad un “uditorio” tutt’altro che estraneo ai meccanismi federali e alle loro prassi di funzionamento.
Per nulla fuori luogo, dunque, appare anche che una delle ragioni per procedere al commissariamento sia stata il “tollerare” o, per meglio dire, il compiacere e l’assecondare, le volontà di un (ex) Presidente inibito, che continuava a svolgere le proprie funzioni, come se quelle sanzioni non fossero mai state comminate.
E questo anche a fronte degli avvisi ricevuti dalla Segreteria Federale tra maggio, giugno ed agosto 2017, relativamente all’opportunità che il soggetto inibito frequentasse qualsiasi attività in ambito della F.C.I., nonché atleti o personale di supporto alle corse ciclistiche.
Sul punto, poi, il reclamante lamenta che detti fatti siano provati da copiosa documentazione fotografica, della quale disconosce genericamente la veridicità. Appare doveroso precisare, però, che il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all'originale di una scrittura, ai sensi dell'art. 2712 c.c., pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo constare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.
Tale tipo di disconoscimento non ha, tuttavia, gli stessi effetti di quello previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c., che in mancanza di esito positivo conseguente ad una richiesta di verificazione, preclude l'utilizzabilità della scrittura.
La contestazione di cui all'art. 2712 c.c., invero, non impedisce al giudice di accertare la conformità all'originale di quanto documentato fotograficamente anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Ne consegue che l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, peraltro non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendosi apprezzare ugualmente l'efficacia rappresentativa (cfr. Cass. n. 9439 del 21/04/2010 e Cass. n. 2419 del 03/02/2006).
Diversamente da quanto lamentato dal reclamante, pertanto, il Collegio ritiene il materiale probatorio alla base della delibera n. 210/2017 tutt’altro che inconsistente, nonché, per tutto quanto argomentato, la delibera de qua pienamente legittima.
Relativamente al secondo motivo di doglianza, si rileva brevemente che, in aderenza con quanto sostenuto nella decisione n.10 della II Sezione del Tribunale Federale in merito agli “scritti difensivi della Federazione Ciclistica Italiana”, gli stessi non costituiscano in alcun modo un’integrazione della motivazione della delibera n.210/2017, ma rientrino pienamente e completamente nel diritto di argomentare e difendersi, “prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”.
Per ciò che si riferisce al terzo motivo del reclamo, il Collegio ritiene che la delibera si sarebbe potuta considerare tutt’al più annullabile e non radicalmente nulla, per difetto dei presupposti inerenti la convocazione della riunione, in aderenza a quel filone giurisprudenziale ormai costante dal 2005.
L’annullabilità in luogo della nullità, infatti, è prevista dalla Suprema Corte a garanzia di una maggior stabilità del provvedimento, altrimenti sindacabile proprio dagli stessi partecipanti alla riunione.
Pertanto, l’unico che avrebbe potuto sollevare l’annullabilità del provvedimento, sarebbe stato il componente che fosse risultato assente all’assemblea.
Nel caso che ci occupa, dunque, l’assente all’assemblea del Consiglio Federale del 9.08.2017 avrebbe dovuto impugnare di persona la deliberazione de qua, entro il termine di trenta giorni dalla data della comunicazione della delibera. Così, invece non è mai accaduto.
Ed anzi, alla successiva seduta del Consiglio Federale, il componente assente ha addirittura approvato il verbale della precedente riunione.
Questo motivo ha peraltro riflessi evidenti sulla legittimazione attiva, di cui peraltro ci siamo occupati nella parte relativa alle eccezioni preliminari.
Con il quarto motivo infine il reclamante si duole dell’assenza del verbale relativo allo svolgimento delle attività assembleari e attestante le posizioni prese dai partecipanti.
Fermo restando, peraltro che la delibera, (prodotta ancora in data 19 ottobre 2017) già risulta in gran parte recepire fedelmente quanto avvenuto in sede di Consiglio Federale, la stessa ricostruisce il percorso logico mediante il quale si è giunti durante la riunione al Commissariamento del Comitato di talché un’asserita assenza di verbale, peraltro non dimostrata, non comporterebbe de plano alcuna nullità.
In definitiva, anche questo motivo deve essere rigettato.
P.Q.M.
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
2^ SEZIONE
ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
Dichiara l’inammissibilità della costituzione della FCI
Respinge il Reclamo con incameramento della tassa d’accesso.
Riserva il deposito della motivazione entro il termine previsto dall’art.45, comma 8 del Regolamento di Giustizia.
Così deciso in Roma, addì 12 febbraio 2018
Motivi depositati in data 22 febbraio 2018
Il Presidente
Avv. prof. Jacopo Tognon
Data pubblicazione: 22 febbraio 2018